Il Pizzo

Sibillini, l'ultimo avanposto ad Est della lunga cresta che scende dal Pizzo della Regina o anche monte Priora


Montemonaco e Monte Fortino, il secondo più del primo, sono affascinanti piccoli paesi in cotto alle falde dei Sibillini, alle falde dei grandi e ripidi versanti Est dei Sibillini. Sono a guardia delle fate e della Sibilla e che le loro storie e leggende non vadano perse, hanno visto passare il Guerrier Meschino, hanno cullato, curato, tenute vive e continuano a farlo molte delle tradizioni, anche culinarie di queste montagne. Godono anche delle più spettacolari viste che si possono avere dei Sibillini e se non vi è mai capitato visitarli andate anche solo per non perdere le prospettive che si rimirare dalle loro balconate. Arrivando in auto dalla Val Fluvione ci si fa “cadere” addosso tutta la dorsale Est dei Sibillini, si scorre alle falde delle montagne, prima il Vettore, poi Sasso D’Andrè, il Banditello e la Sibilla, ci sfilano gli imbocchi di tutte le valli che li solcano, gli scorci sono da togliere il fiato. Montagne ripide, verdi, valli profonde e le creste lassù in alto che conosciamo per aver percorso tante volte e che sembrano non finire mai; superiamo Montemonaco, aggiriamo il bellissimo fortificato Montefortino ed arriviamo a Vetice, un paesino sperduto ai piedi del Pizzo, in mezzo alla confluenza di due profonde valli, quella del Tenna (Gole dell’Infernaccio) e quella dell’Ambro. Si supera il paese, le poche case del paese che si incontrano quando si arriva, si continua su stradina asfaltata che termina in una fattoria, un minuto piccolo borgo per dirla meglio. Dobbiamo raggiungere la località “Fonte Vecchia”, finiamo per chiedere, lungo la stradina asfaltata che sale alla fattoria c’è un incrocio sulla destra, una piccola strada anche questa asfaltata si inerpica, all’angolo se vi può aiutare, quando siamo passati c’era, una indicazione indica il veterinario. Si sale, si oltrepassa un altro piccolo borgo di case di campagna ed una volta oltre la stradina si fa sterrata ma sempre facile da percorrere; ci sarebbe un cartello con divieto di accesso ma ci hanno rassicurato che è consuetudine arrivare fino alla fonte senza problemi. Un po’ di polvere alzata, le montagne che si avvicinano e si arriva ad un bivio ulteriore, davanti una fonte diroccata, povera di acqua. E’ Fonte Vecchia, da dove decidiamo di iniziare a camminare. Si potrebbe continuare sulla destra per circa un altro chilometro, a ridosso di una seconda fonte si potrebbe parcheggiare, ma col senno del poi tutto è più facile, abbiamo seguito le indicazioni della guida e a Fonte Vecchia abbiamo parcheggiato, siamo solo a quota 650mt. Prendiamo sulla destra, il sentiero è il 224, sentiero che poi è una strada che sale leggermente tra campagne coltivate e curate, davanti abbiamo il Balzo Rosso, poderoso contrafforte ultimo della dorsale che scende dal Pizzo Tre Vescovi e dal monte Amandola; a sinistra la nostra meta, il ripido Pizzo, balcone terminale della dorsale che scende verso Est dal monte Priora. Si continua presso che in piano, intorno campagne ordinate, sul ciglio una infinità di fioriture; dopo circa un chilometro sulla destra incontriamo una seconda fonte, questa ha un getto a dir poco violento, al ritorno sarà quanto meno salvifica. Poco oltre si entra nel bosco, il sentiero è di fatto una carrareccia con ampie tracce di ruote gommate, continua a non salire nonostante siamo ormai sotto lo spigolo del Pizzo, prima o poi lo farà, e infatti da li a poco diventa una rampa. Alcuni tratti sono così ripidi da essere sdrucciolevoli, i potenti Suv che regolarmente la percorrono l’hanno smossa a dismisura; il caldo e la pendenza sono un brutto binomio, dentro il bosco non circola aria, qualche momento di pura fatica lo passiamo, se non ci fosse la testa a comandare e ad imporre l’andatura … Dalla vegetazione si intravedono i tetti di Vetice, siamo saliti tantissimo in un attimo, il fiatone è giustificato. Quando ci domandiamo come facciano i suv a salire su queste rampe così ripide e sconnesse finalmente la strada si appiana, vira intorno alla montagna ed entra nel fianco della valle dell’Ambro. Alcune aperture nella vegetazione ci sbattono davanti lo sperone del Balzo Rosso, forse deve il suo nome alla parete scoperta e verticale di un colore rosso ruggine. Il sentiero è punteggiato di fiori, scopro i bellissimi e delicatissimi fiori dell’Erba di san Giovanni, faccio scorpacciata di foto, mi sono portato la reflex, è un gran divertimento cercare di catturare i più piccoli dei dettagli. La carrareccia si divide, il tratto che continua in valle a destra è vietato, credo per qualche lavoro in corso, continuiamo tenendoci a sinistra, poco più avanti occorre fare attenzione, ad una deviazione sulla sinistra, anche se non vederla è impossibile; un sentiero che a confronto è un filo si stacca in salita, all’incrocio su un grosso faggio la scritta Pizzo accompagnata da una freccia non da dubbi sulla direzione da prendere. Sale costantemente con pendenza morbida poco più su con tornanti più decisi si guadagna quota; poi il sentierino sembra perdersi, è confuso in mezzo ad erba molto alta. Alcuni alberi sradicati da una slavina obbligano ad esercizi di scavalcamento continuo, il sentiero anche in questo tratto è poco visibile, conviene salire in corrispondenza degli alberi divelti, poco più su lo si ritrova in un corto traverso fuori dagli alberi dove l’affaccio sulla val d’Ambro è notevole. Si continua dentro il bosco, tornanti repentini salgono la montagna fino a che non si iniziano a scorgere le creste erbose, una volta buia in controluce fa da portone di accesso a ripide praterie. L’erba altissima quasi non fa scorgere il filo del piccolo sentiero, lo sentiamo più con gli scarponi che si aprono l’accesso nel folto della vegetazione che scorgerlo realmente, sinuoso avanza a tagliare le ripide scarpate in mezzo ad un tripudio di fiori. A casa proverò a dargli un nome, ora mi limito a fotografarli un po’ tutti. Marina è davanti ed io perennemente dietro alle prese con le mie foto (e quando mi ricapita di avere con me la reflex), entriamo ed usciamo qualche altra volta dalle lingue del bosco che si spingono in alto fino a trovarci di fronte un lungo traverso in costante salita sotto le creste sommitali, ora completamente scoperto, dentro un imbuto che ricorda quello più vasto del Vettore. Il tracciato del sentiero è tutto davanti, una diagonale che sale costante verso quella che credo essere la cima del Pizzo. Questo tratto è molto ripido, non ci sono alberi, il pendio converge più in basso verso il bosco, come ho detto è una sorta di imbuto, non credo sia difficile pensare ad una grossa incidenza di valanghe nel periodo invernale. Il panorama si fa sontuoso, il Balzo Rosso sempre la davanti convoglia lo sguardo verso le ordinate colline marchigiane, verso il mare perso nella caligine e verso il Conero nonostante tutto visibile, inconfondibile macchia scura sull’orizzonte. Lungo il sentiero veniamo presto esaltati dai profumi, ogni tanto delle zaffate, poi sempre più insistentemente veniamo inebriati, sono le miriadi di garofanini selvatici e montani che lo contornano. Ma è voltandoci dietro che ci si sorprende, una guglia appuntita all’orizzonte è comparsa, montagne alte, un po’ di indugio poi la lampadina si accende, è il monte Acuto e dietro il Rotondo, quando aggireremo lo spigolo e saliremo ancora di quota comparirà anche il Pizzo Tre Vescovi. Entusiasmante quanto nuova prospettiva. Il traverso termina ancora lontano dalla cresta che si inerpica decisamente e vira in una altro a ritroso più breve, col sole ormai a picco e nella quasi assenza di vento il caldo si fa esagerato. Le praterie iniziano ad essere puntellate da nuove presenze colorate, Genziane lutea (quella dell’amaro per intenderci) e piccole orchidee, una miriade di farfalle fanno da contorno. Saliamo il traverso fino ad arrivare in cresta, continuiamo fino alla cima più alta, ma non è il Pizzo, la vetta vera è più indietro, più bassa ma più verticale sulle colline; domina lo sperone circa duecento metri più in basso dove è stata posta una grossa croce a guardia del territorio, uno sperone difficile da raggiungere per le elevate verticalità erbose. Sostiamo in quella che abbiamo deciso essere la nostra vetta, siamo stanchissimi per il caldo e per la costante salita; ci rifocilliamo un po’ e riprendo a fotografare le tante orchidee che sono intorno a noi. L’intenzione era quella di fare un anello e scendere dal versante della val di Tenna. Il sentiero scorre nei ripidi fianchi li sotto, per raggiungerlo senza calarsi nei ripidissimi pratoni sarebbe meglio raggiungere la sella delle Murette dove inizia la cresta che sale alla Priora. L’abbandono della pastorizia da queste parti è evidente, l’erba è altissima, non c’è traccia di sentiero, si avanza con difficoltà ed anche la fontana ed i ruderi dello stazzo sotto la sella sono ormai sepolti dalla vegetazione. In mezzo a quelle alte praterie genziane e gigli rossi sono disseminati un po’ ovunque, anche qualche bel esemplare di Giglio Martagone non sfugge alla mia mania del click. Ci stanchiamo di annaspare, il versante che dovremmo scendere è anche più scoperto di quello che abbiamo salito, spazientiti dal caldo riprendiamo indietro per la stessa via dell’andata. Prima di scendere facciamo una puntata alla vetta del Pizzo, quella vera, anche se insignificante; una lapide, una vera lapide a ricordo ne suggella la vetta. Capisco le motivazioni, ma magari un pò in disparte l’ubicazione sarebbe stata più consona. Ditelo che sono un borbottone, ma queste invasioni quasi indebite di un territorio magnifico che è di tutti non le sopporto più. Siamo a picco sulla val Tenna, laggiù le Pisciarelle e su uno sperone nel bosco l’Eremo di San Leonardo. A chiudere l’orizzonte verso Ovest iniziando dal monte Zampa la lunga cresta con la Sibilla e la cima Vallelunga, davanti a noi l’Ara della Sibilla, la ripida pagina che scende direttamente dalla vetta della Priora, il fosso con la cascata cui si percepisce il rumore e la lunga cresta fino alla visibile croce di vetta; girando ancora più ad Ovest Il Pizzo Tre Vescovi, il monte Acuto ed il Rotondo, che gioia questi Sibillini, da ogni versante, da ogni dorsale oltre il 1600/1700 mt quasi tutto il gruppo è visibile. Mi stordisco di tutto questo fin tanto che sopportiamo il sole. Ma alla fine ne abbiamo abbastanza, siamo stanchi e sopraffatti da quella strana stanchezza che ci ha preso, riprendiamo verso il basso per cercare di arrivare il prima possibile all’ombra del bosco. Precipitiamo verso il basso per la stessa via dell’andata. Non conoscevo questo versante dei Sibillini, promette davvero tante lunghe escursioni, con arrivo sulle montagne che già conosciamo ma fuori dai soliti percorsi; chissà dopo un assaggio arriverà l’abbuffata. Nonostante la quota modesta del Pizzo alla fine sono più di 1000 i mt di dislivello, un primo tratto un po’ monotono nel bosco con qualche sontuoso affaccio sulla scura val D’Ambro, ma una dorsale alta dal panorama di prim’ordine. Una escursione da non fare in presenza di grossi cumuli di neve a causa degli accentuati pendii sommitali ma nemmeno d’estate quando la temperatura e la scarsa ventilazione provocano botte di calore spaventose. Sublime in autunno è una escursione da fare; con un piccolo sforzo in più la Priora è la sopra, alla fine di quella lunga cresta inclinata.